Io un turismo dei “senza” non lo voglio.

Io un turismo dei “senza” non lo voglio.

Senza glutine

Senza nichel

Senza lattosio

Senza solfiti

Senza frutta secca

Senza barriere

Senza auto

Senza rumore

Senza wi-fi

Senza età

Senza!

Parto dalla fine del mio pensiero, perché non ho una risposta precisa, ma cercare di darla sarà l’obiettivo del prossimo libro (sono un ottimista) che proprio in queste ore ho iniziato a scrivere.

Da oltre vent’anni mi occupo di turismo e in questo lasso di tempo, che può essere valutato tanto o poco a seconda dei punti di vista, il mondo dell’incoming è davvero cambiato.

In principio era la partecipazione alle fiere con pochi depliant e tante idee oggi è il contrario: tante offerte e idee tutte uguali…e non parlatemi ora del metaverso!

Ciò che trovo più preoccupante è il modo di fare la comunicazione; con la tecnologia siamo capaci di creare effetti mirabolanti, ma non siamo più capaci ad usare la parola.

Un tempo non sapevamo forse creare slogan ad effetto, oggi siamo al brand che deve esprimere un intero concetto. La descrizione di un prodotto è lasciata all’immagine e l’invito a scoprire una destinazione che sia un hotel o un ristorante è lasciato spesso più ai “senza” che all’enfasi e all’emozione.

E’ la moda dei social: tutto, veloce e subito. Siamo sicuri di volere solo questo?

Siamo arrivati al punto che “il senza qualcosa” diventa esso stesso comunicazione, quando invece per chi si occupa di turismo quel “senza” dovrebbe rientrare a pieno titolo, se non addirittura alla base, del concetto di “accoglienza”, di “empatia con cliente” e quindi la base del proprio lavoro.

Fino a quando il “senza” rimane marketing significa che abbiamo poco altro da dire o che forse non siamo capaci di esprimerlo, siamo davvero arrivati a questo punto?

C’è ancora chi crede che con un “senza” si possano raggiungere segmenti di mercato precisi, non è più così. Oggi vogliamo essere tutti considerati “turisti” o “viaggiatori” con pari diritti ed opportunità e non più raggiunti da comunicazioni che ci segmentano in categorie speciali.

Non è forse meglio cambiare il modo di raccontare una stanza, un menù o un luogo utilizzando le parole corrette e lavorare con gli imprenditori e con il personale facendo capire che il turismo è cambiato, così come le mode e la facilità di viaggiare?

Il turista è sempre più internazionale e dobbiamo quindi confrontarci con usi, culture, religioni e esigenze temporanee o permanenti diverse.

Dobbiamo lavorare sulla conoscenza dei turisti e sulla capacità di accogliere tutti in modo adeguato, professionale e competente.

Io un turismo dei “senza” non lo voglio.

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